La Chiesa di S. Maria a Marciano in Piana
di Caiazzo (IV)
Sua importanza archeologica, storica ed artistica
(continuazione e fine, v. n. precedente)
Alla mancanza assoluta della decorazione intagliata,
così feconda nelle grandiose Cattedrale d’Oltralpe, suppliva, nella
nostra Santa Maria a Marciano, una completa decorazione policroma.
Particolare questo, del resto, comunissimo nelle Chiese d’Italia: come si può
osservare, per esempio, nello stupendo Santuario di S. Francesco in Assisi,
dove Cimabue, segnava l’ultima pagina del tardo Bizantinismo e Giotto
moveva i primi passi nell’arte nuova, penetrando i secreti dell’arte e l’anima
umana.
Lo stesso tipo decorativo, con pareti completamente
intonacata e dipinte, si trova in molte chiese gotiche Napoletane, come in
Santa Chiara, S. Lorenzo e S. Domenico Maggiore; nell’Incoronata, dove la
rappresentazione dei Sacramenti, fissa uno dei capisaldi della triplice
influenza della pittura nel Reame, ai tempi dei primi Angioini: e specie
in Donnaregina, che rappresenta, senza dubbio, la gloria più fulgida che
ancora ci resti di tutto il ciclo Trecentesco. In esso infatti, oltre la
mano del grande e geniale musaicista romano Pietro Cavallini, si scorge
chiaramente, l’influenza della sua scuola, insieme con le creazioni dei Sanesi.
Nella nostra chiesa però, gran parte della
decorazione primitiva, è ora completamente ricoperta da un sottile strato di
calce: cosicché, solo mediante saggi, praticati in diversi punti delle pareti,
mi son potuto formare un’idea, di quello che dovett’essere un tempo.
In quale epoca adunque, è stata perpetrata
quest’opera di distruzione?
Per ciò che riguarda gli affreschi del Transetto, è
concorde, in paese, l’opinione che siano stati imbiancati da pochi anni appena:
tanto è vero che, molti cittadini di Piana, che hanno da poco oltrepassata la
quarantina, ne ricordano benissimo alcuni, e tra gli altri un grazioso Bambini
in fasce.
Più difficile è poterlo precisare per quelli del
Coro, ricoperti non da uno, ma da tre, e in alcuni punti anche da quattro
strati di calce: particolare questo che fa supporre, essere stati imbiancati in
epoca molto remota e, forse, prima ancora che venissero eseguiti i restauri dei
primi anni del Seicento.
Per qual ragione si credette opportuno ricorrere a
tale mezzo vandalico ed incivile? Forse perché questi affreschi erano già
eccessivamente rovinati dal tempo e dall’umidità?
Non pare si possa ciò sostenere: anzi in base allo
stato di quelli esumati da me sul Coro, mi permetto di affermare che la ragione
vera, deve ricercarsi unicamente nell’eccessiva ignoranza di laici
preposti in ogni tempo, a custodia del Sacro Tempio; nonché nella colpevole
noncuranza delle autorità locali che, pur conoscendo di possedere un piccolo
tesoro di arte, permettevano pi che gente zotica ed ignorante, ne deturpasse,
impunemente, tutta la bellezza e la preziosità.
***
Cappellina a destra del Coro.
È la sola, che conserva ancora tutte le pareti
decorate con numerosi ed importanti affreschi, quantunque alcuni di essi siano,
in parte danneggiati, più che dal tempo, dall’umidità e dal completo abbandono
a cui, da secoli, sono stati condannati.
Non mancano però di quelli che, sfidando i secoli,
sono giunti fino a noi, conservando tutta la purezza e la precisione delle
forme originarie.
Degna di speciale considerazione è, nella parete di
mezzo, un’icone rappresentante la Vergine col Bambino. La Vergine,
assisa su ricco trono e avvolta in manto rosso che scende fino ai piedi, con
ampie righe, reca in seno, seduto, un grazioso Bambino, dalle forme robuste,
dalla testa ricciuta, che sorregge con la sua sinistra, mentre con la destra ne
tocca un piedino. Il Bambino, in vestina di color giallo scuro, ha la destra
sollevata in atto di benedire, mentre la sinistra poggia sul ginocchio.
A destra della Vergine, è dipinta Santa Maria
Maddalena, come si rileva da apposita iscrizione, oltre che dai caratteri
generali. La figura della Maddalena, ha forme assai gentili. È in piedi; con la
destra regge un lembo del ricco manto che tutta la ricopre e con la sinistra,
protesa verso la Vergine, sostiene, con assai buon garbo, il consueto vaso
degli unguenti.
A sinistra della Vergine, vi è un’altra gentile
figura, quella cioè di Santa Caterina d’Alessandria, avvolta in manto
rosso.
Come la Maddalena, così ancora Santa Caterina, regge
con la destra un lembo della sua veste, mentre con la sinistra sostiene una ruota,
emblema del suo martirio. I tre volti, della Vergine cioè e delle due Sante,
sono di una finezza e di una precisione ammirabile.
Proprio al di sopra della Vergine, vi è nella parete
una piccola apertura monofora, di forma rettangolare, ma con arco ogivale.
A destra di questa
apertura, trovasi un affresco rappresentante S. Giacomo,
come si rileva da apposita scritta “S. Iacobus”.
È probabilmente S. Giacomo il Minore, il volto del Santo,
discretamente conservato, è adorno di lunga barba, terminante a punta. Con la
sinistra, regge un libro chiuso: la destra è completamente coperta dall’ampio
manto rosso, che ne avvolge tutto il corpo. Dal lato sinistro, gli pende giù
una piccola borsa da pellegrino, sospesa ad armacollo per mezzo di un laccio.
A sinistra del finestrino
vi è un altro affresco, però quasi interamente rovinato dall’umidità. Il Santo,
una maschia figura, con folta barba, e avvolto pure in manto rosso, è dipinto
seduto.
Essendo alterati tutti i
lineamenti del volto, non mi è stato possibile identificarlo con precisione.
Ma, per essere dipinto proprio vicino a S. Giacomo e per un “…NES” che si può ancora scorgere all’altezza della
testa, mi permetto affermare, che si tratta di S.Giovanni
Evangelista.
Al di sopra di questi due
dipinti, e propriamente nella parte estrema della parete, ve n’è un altro: ma
ridotto in così tristi condizioni, da riuscire impossibile una perfetta
identificazione. Dapprima ero persuaso che si trattasse di S. Luca Evangelista, in onore del quale era
stata decorata la Cappellina ma, un esame razionale ed accurato, mi fa ritenere
ed affermare che sia la mezza figura clipeata di Cristo benedicente. Anche perché, l’unico
particolare chi si scorge con precisione, è un libro aperto, sostenuto con la
sinistra: e questo particolare non si potrebbe riconoscere né in S. Luca, né in
altro Santo Apostolo.
Della parete di destra, il più importante affresco è
quello che si osserva nella parte più in alto di essa. È un San Giovanni
Battista, come risulta, oltre che dai caratteri generali, anche da apposita
scritta “S. IONES. B.”
Quantunque rappresentato a mezzobusto, ha forme
davvero colossali. I lineamenti del Santo sono severi, ed il tipo suo è quello
tradizionale, cioè dai lunghi e ricciuti capelli che gli scendono lungo le
spalle e dalla folta, lunga e ricciuta barba, che si allarga a ciocche sul
petto. Tutto il corpo è avvolto nella melote dai lunghi peli, sopra la
quale si stende un drappo rosso che scende giù dalle spalle. La mano destra,
con tutto il braccio completamente nudo, è sollevata, con l’indice teso verso
il cielo: nella sinistra tiene spiegato un lungo filatterio che si
protende in alto a forma di “S”, su cui si leggono parte di quelle parole che
egli stesso pronunziava un giorno, alla vista del Nazzareno “ECCE AGNUS DEI. ECCE
QUI TO…”.
Coperto questo dipinto da uno strato di polvere,
così fitto, da renderlo quasi completamente invisibile, fu da me, con gran cura
ripulito: ed ora, benché non molto visibile da lontano, essendo la cappellina
poco illuminata, rappresenta, certo, un dei più belli e grandiosi affreschi che
ornano le pareti questa Chiesa.
Proprio al disotto di S. Giovanni, ci si presenta
nella parete un’altra apertura monofora, pure di forma rettangolare,
però murata nella parte posteriore, e che, forse, un tempo, servì per dare
maggior luce alla cappella stessa.
Ai due lati di quest’apertura, si osservano due
affreschi, anche ben conservati. Quello di sinistra, rappresentante una figura
vestita in abito pontificale, è S. Stefano, Vescovo di Caiazzo, come si
rileva da apposita scritta “Sanctus Stephanus Caiaccianus”. Con la
sinistra regge il pastorale; la destra è sollevata in atto di benedire.
Reca in testa una piccola mitra gemmata, a punte aguzze: ha barba piuttosto
corta e terminante a punta. Al di sotto della ricca veste pontificale, si
scorgono gli arti inferiori, completamente nudi.
A destra di S. Stefano, è S. Antonio
Abate, dal volto allungato e macilento, adorno di lunga e sottile barba,
piovente sul petto. È in piedi, come S. Stefano: nella destra ha un Rosario; la
sinistra è poggiata sull’impugnatura di un lungo bastone.
Nella parete sinistra, degne di speciale
considerazione, sono le maestose figure di tre Apostoli, che occupano tutta la
parte mediana di essa. Sono dipinti pure in piedi come S. Stefano e S. Antonio
Abate dalla parte opposta.
Di questi tre, forse il più importante affresco, è
quello rappresentante S. Tommaso Apostolo. Di alta statura, di membra
proporzionate, incarna, in tutti i suoi particolari, la figura di un giovane
bello e robusto, quale troviamo nelle statue dell’epoca classica. I capelli,
molto ben ravviati e piuttosto lunghi, scendono giù, fin sulla nuca.
Con ambo le mani regge un libro chiuso. Di sotto al
ricco manto rosso che tutto lo ricopre, si scorgono gli arti inferiori, calzati
appena da un paio di sandali.
A destra di S. Tommaso è “Sanctus
Bartolomeus”, l’Apostolo delle Indie e dell’Armenia Maggiore.
Anch’esso di alta statura, ha invece volto rude e macilento, forse un po’
troppo allungato: capelli corti e ricciuti; barba lunga e terminante a punta. È
avvolto in manto celeste, interamente opiato, che lascia però scorgere
al di sotto una tunica di color rosso. Con la sinistra, regge un libro, chiuso
da due fermagli; con la destra un coltello, simbolo dell’atroce martirio
che subì nel 71 dopo Cristo, sotto Astiage, re dell’Armenia.
A destra di S. Bartolomeo, vi è, finalmente,
un terzo dipinto, però molto danneggiato specie nel volto. È avvolto il Santo,
in manto rosso,al di sotto del quale scorgesi una tunica celeste. Ha la destra
sollevata in atto di benedire: la sinistra è completamente distrutta, essendosi
proprio in quel punto, staccato l’intonaco, a causa dell’umidità. In quanto al
volto, da quel poco che è rimasto ancora intatto, si vede essere poco dissimile
da quello di S. Tommaso. Credo che sia S. Matteo, Apostolo ed Evangelista:
anche perché, spesso, lo troviamo rappresentato in atto di benedire.
In tutto il resto della parete, nella parte cioè che
si estende tra questi affreschi e la chiave dell’arco, l’umidità ha prodotto,
completamente, la sua opera di distruzione. Quello che si può scorgere
nettamente è che, anche questa parte estrema, era dipinta: ma che cosa vi fosse
dipinto, è impossibile poterlo precisare. Sembra però che non vi fossero delle
figure distinte ed umane, come in tutto il resto della Cappella, ma piuttosto
uno sfondo di paesaggio, a somiglianza di quello che troviamo dipinto sotto il
Crocifisso, in una delle pareti del transetto.
Anche gli affreschi della volta, chiusi in otto
piccoli medaglioni 8due per ogni vela della graziosa volta a
crociera), sono completamente distrutti: cosicché di essi, non ci rimangono,
ora, che le semplici tracce.
Transetto.
Dei numerosi affreschi che, un tempo, ornavano il transetto,
presentemente non rimangono che tre appena; per fortuna, molto ben conservati.
Il più importante è un Cristo in Croce. Come
già ebbi occasione di notare, è esso la riproduzione fedele di un altro
Crocifisso, di più modeste dimensioni scolpito su pietra, appartenente, un
tempo, alla distrutta Badia di Santa Croce.
Nel suo complesso, questo affresco, è di una finezza
e di una precisione veramente meravigliosa.
Il corpo del Redentore, è macilento; e in tutti i
suoi più minuti particolari, rivela nell’autore, perfetta conoscenza anatomica.
Il capo contornato dal solito nimbo raggiato, e coronato di spine,
poggia, con doloroso abbandono, sulla spalla destra: gli occhi sono interamente
chiusi: la bocca semiaperta mostra tutta la chiostra, dei denti della mascella
superiore; il mento è adorno di barba corta e terminante a punta. Ha capelli
lunghi, pioventi sulle spalle. Dal costato aperto da una larga ferita, vien giù
sangue abbondante; dai fianchi, pende un pannolino che lo copre quasi fino alle
ginocchia. Nella parte superiore, osservasi il Cartello con le solite iniziali
“I.N.R.I.”.
Tutto il fondo del quadro, contornato da una
graziosa cornice, pure dipinta, si può dividere in due sezioni: delle quali, l’inferiore
è decorata con un panorama campestre, con lunga catena di monti in lontananza,
rappresentanti, probabilmente, i monti che sovrastano il villaggio di Piana: e
la superiora, con un drappo dipinto a piccoli rombi allineati.
A sinistra del Crocifisso, è dipinta l’austera
figura di S. Benedetto, dall’aspetto quasi leonino. Il capo,
piuttosto grosso, è coperto interamente dal cappuccio: il volto, abbastanza
rude, è adorno di lunga e folta barba, piovente sul petto.
Con la sinistra regge, il Santo, un grosso libro,
rilegato in rosso e sollevato all’altezza della spalla: la destra, reclinante
all’ingiù, poggia sull’impugnatura di un grosso bastone.
Accanto a S. Benedetto, è dipinto il solito
gruppo della Vergine col Bambino. La Vergine, seduta su ricco trono,
indossa una veste che, apparentemente, sembra nera, ma che dovette essere, in
origine, di color celeste; al di sopra della quale, si stende un ampio manto
bianco che dal capo, scende giù fino ai piedi, coprendo così tutta la persona.
Sulle ginocchia reca seduto, un grazioso Bambino, che indossa una tunichetta di
color giallo scuro, a cui poggia una mano sulla spalla sinistra, e con l’altra,
ne tocca il ginocchio destro.
Il Bambino stringe nella sinistra un giglio, la
destra è sollevata in atto di benedire. Nella parte inferiore del quadro,
legati alla cornice per mezzo di nastrini, pure dipinti, si osservano: un
piccolo piede infantile, trapassato da una freccia, e grondante sangue in abbondanza;
e due manine, delle quali, una sola con tutto il braccio.
È evidentemente, quest’icone, un ex voto.
Coro.
Il semplice fatto, di non trovare nella Cappella di
destra, alcun affresco che rappresentasse S. Luca, m’invogliò ad iniziare
un’opera di scrostamento alle pareti del Coro; giacché, solo nel Coro, speravo
poter trovare il bandolo della quistione.
Né m’ingannai.
Dopo circa venti giorni di lavoro assiduo, paziente,
riuscii ad esumare, non solo la figura di S.Luca, ma parecchie altre ancora,
non meno importanti.
S. Luca, occupa la parte centrale della parete sinistra, e
misura m. 1,65 di altezza. Ha capelli corti e ricciuti; fronte alta e spaziosa;
volto calmo e sereno; barba corta e terminante a punta; membra, in tutto,
proporzionate.
Indossa una tunica color verde, su cui si distende
un manto rosso, che scende giù con molta ricercatezza. Con ambo le mani, regge
un grosso libro chiuso, rilegato in giallo. Le estremità inferiori, appariscono
completamente nude.
A destra di S. Luca, ugualmente in piedi e di
proporzioni quasi identiche, è un Santo Vescovo.
Ha in testa una piccola mitra a punte aguzze,
appena visibile, essendo l’affresco un po’ danneggiato, specie nella parte
superiore. Il volto, molto allungato, ha un’espressione un po’ troppo severa:
la barba è corta.
Indossa una sottoveste di un color scuro, al di
sopra della quale, si osserva una tonacella
rossa, che scende diritta e senza
pieghe, più giù ancora delle ginocchia. Indossa pure una casula gialla con grosso bavero, completamente chiuso, e un piccolo pallio bianco. La destra, è sollevata in atto di benedire; la sinistra, poggiata al
petto, stringe qualche cosa che, apparentemente, sembra un bastone.
A sinistra di S. Luca, vi è un altro Santo Vescovo,
però così rovinato, nella parte superiore che, riesce molto difficile,
precisare i lineamenti del volto. Ha pure in testa una piccola mitra a punte aguzze. Le vesti, sono
identiche a quella della figura precedente: differiscono solo nel colore delle
stoffe. La sottoveste infatti è di color giallo; la tonacella,
scura; la casula, rossa; il
pallio ugualmente bianco.
Le mani, sono invisibili: è fuori dubbio però che,
dovessero sorreggere un libro chiuso. Del libro, è visibile solo, la parte
superiore.
Al di sopra di questi tre
affreschi, ve ne sono altri ancora, come ho potuto rilevare da piccoli saggi
praticati in tutto il resto della parete. L’assoluta mancanza di tempo però, da
una parte il vivo desiderio di scrostare fino alla medesima altezza anche la
parete di destra, mi ha fatto contentare, per ora, di questa semplice
constatazione.
Importantissima adunque,
tra gli affreschi venuti alla luce, nella parete destra,
è una graziosa figura femminile, di modeste dimensioni (misura infatti m 1,05),
rappresentante una Santa Martire. Ha in testa una piccola corona regale gigliata, composta di tre fiordalisi:
la corona propria degli Angioini.
Il volto abbastanza
delicato, è di una finezza e di una precisione meravigliosa. È avvolta
interamente in manto rosso, sollevato un poco con la destra nella parte
d’avanti, tanto da lasciare scorgere un lembo della sottoveste che, apparentemente
sembra bianca, ma che, in origine, dovette essere di colore verde. Nella
sinistra porta una palma, simbolo del suo martirio: con la destra, oltre a
reggere un lembo del manto, pare che stringa pure una piccola tenaglia.
All’altezza del capo,
dalla parte destra, si distingue nettamente, in caratteri neogotici, la scritta: “S. MARENA”.
Nella medesima parete,
degno pure di nota, è un altro affresco, rappresentante un Santo Vescovo. Ci si
conserva però solo in forma frammentaria, giacché l’umidità, ha distrutto non
solo il volto, con tutta la parte anteriore del corpo, ma ancora qualche altra
cosa che doveva essere innanzi al Santo.
Da quel che resta
infatti, si rileva chiaramente, che è dipinto in ginocchio, e con la testa
sollevata un pochino in alto,in atto di preghiera. È evidente adunque che
dinanzi a lui, dovesse esservi dipinta qualche altra immagine: probabilmente
quella della Vergine. Indossa, il Santo, un piviale rosso con mitra bianca,
filettata di verde.
Anche in questa parete,
la decorazione continua fin sotto la volta; anzi mi permetto fin da ora di
notare che, gli affreschi che verranno alla luce, saranno interessantissimi
perché abbastanza conservati. I colori delle vesti sono così vivi, i contorni
così precisi, da darci l’illusione che siano stati dipinti da pochi anni
appena. L’unica parte, forse, danneggiata, sono i volti.
Cappellina a Sinistra del
Coro.
Dei pochi affreschi che,
tuttora rimangono di questa capellina, il più interessante è, il solito gruppo
della Vergine col Bambino.
La Vergine, anche qui,
seduta, indossa una veste di color rosso, al di sopra della quale, si stende un
manto bianco, foderato di stoffa celeste. Il Bambino è in piedi, e indossa una
veste di color rosso, al di sopra della quale, si stende un manto bianco,
foderato di stoffa celeste. Con la sinistra, rege un piccolo globo, con la
destra abbraccia, con affetto, il collo della Madre.
La Vergine poggia la
desta sulla spalla destra del Bambino e con la sinistra tocca i piedini nudi di
Lui.
A destra della Vergine è
dipinto S. Giovanni Evangelista.
A differenza dell’altro però, della Cappella di destra, dalla lunga e folta
barba, ha qui l’aspetto di un bellissimo giovanetto; dai capelli biondi e
ricciuti, dal volto arrotondato, dall’espressione dolce e quasi infantile.
Indossa una veste gialla con manto rosso. È in piedi: con la sinistra regge un
libro aperto, sulle cui pagine si leggono, abbastanza chiaramente, le prime
parole del suo Vangelo “In principio erat Verbum et
Verbum…”: la destra è scomparsa sotto uno strato di calce,
ma, a quanto pare, doveva essere o poggiata al petto, o un pochino sollevata,
in atto di additare le parole divine impresse sul libro.
L’affresco a sinistra
della Vergine, rappresenta, probabilmente, S. Giacomo il
Minore.
Ha testa leggermente
allungata, volto un po’ rude e grossolano, mento coperto di rari peli. È
avvolto in manto rosso, al di sotto del quale si scorge una veste di color
giallo. Con la sinistra regge un lungo bastone, a cui è legata una piccola
borsa da pellegrino: la destra è invisibile, essendo il dipinto un po’
danneggiato.
Vicinissimo a S. Giovanni è la giovane figura di S. Stefano Protomartire. Ha testa quasi
completamente rasa; il volto imberbe: espressione nobile e dignitosa. È in
piedi e indossa una dalmatica
rossa con grosso bavero. Con la destra, regge un libro chiuso, rilegato in
rosso, la sinistra è invisibile.
Caratteri Stilistici.
Come è facile rilevare dall’attenta e sistematica
analisi dei caratteri stilistici, gli affreschi or ora descritti, non sono
tutti della medesima epoca.
In generale, li possiamo
dividere in due gruppi: i Trecenteschi
che senza dubbio, dovevano occupare la parte maggiore della decorazione e i Quattrocenteschi, che ne erano il completamento.
La data del 1334, che
tuttora si osserva nella Cappellina a desta del Coro, pare dovesse segnare il
principio della decorazione del secolo XIV. Senonché, ho ragioni, per credere,
che la parte più bassa della parete di destra del Coro, debba precedere di
qualche anno. Gli affreschi infatti venuti ivi alla luce, se non presentano
addirittura caratteri più arcaici di quelli di tutto il resto del Coro, dimostrano,
certo, chiaramente, essere stati eseguiti da altra mano.
Ora, se si tien presente
la notizia tramandataci dalla tradizione, e cioè che, il pio capitano,
ricostruita la Chiesa, la decorava con alcuni affreschi: si dovrà senz’altro
conchiudere che, son proprio questi,gli affreschi che rimontano all’epoca della
ricostruzione della Chiesa.
E, anche dal lato
iconografico, è avvalorata tale opinione.
Troviamo infatti, in
questa parete, a sinistra; Santa Marena;
a destra un Santo Vescovo
dipinto in ginocchio. Dato ora che, l’antica Chiesa, era dedicata alla Vergine
e a S. Gennaro; come si rileva dalla Bolla di Gerberto, non è improbabile che
questo Vescovo, rappresenti
proprio San Gennaro, genuflesso
davanti ad un’immagine della Vergine;
e che Santa Marena, sia stata aggiunta,
perché venerata nei dintorni dell’attuale Piana, fin dai tempi più remoti.
Il concetto decorativo
però, non è di quelli che sono ispirati ad un concetto unico ed armonico. Noi
non troviamo infatti in questa Chiesa, scene del Nuovo o del Vecchio
Testamento, né serie iconografiche di storie di Santi determinati: troviamo
invece aggruppamenti isolati che, non hanno altro nesso tra loro, che il legame
che possa derivare dal culto locale, da speciali devozioni di donatori e
dall’influenza liturgica dell’ordine Benedettino sotto del quale la Chiesa si
trovava.
In quanto ai caratteri stilistici della maggior parte
degli affreschi, sono evidenti i segni dell’arte Trecentesca del
Napoletano, e propriamente di quella che risente l’influenza assai efficace di Pietro Cavalini: senza però rinnegare gli elementi Sanesi che, in Napoli e nel Reame, sotto Roberto d’Angiò,
avevano posto salde radici.
Il colorito sempre brillante, che è appunto uno dei
caratteri di chi è abituato a dipingere con la tecnica del musaico, così pure le reminiscenze classiche in alcune figure, come S.
Tommaso, S. Matteo; la tendenza alle masse
piuttosto larghe dei panneggiamenti; la rappresentazione delle figure
solennemente prospettate: son caratteri che ci ricordano, abbastanza
da vicino, l’arte Cavalliniana.
All’influenza Sanese invece è da attribuirsi la forma caratteristica degli occhi, grandi e molto allungati,
in cui la sclerotica mostra abbastanza chiaramente il suo bianco brillante.
Troviamo infatti questo
carattere, costantemente, nelle Madonne di Duccio da
Boninsegna e di Simone Martini, della cui arte esistono
due preziosi documenti nelle Madonne di Santa Chiara e di S. Pietro a Majella
di Napoli; come pure nei citati Sacramenti dell’Incoronata.
Anche all’influenza
Sanese è da ascriversi quella vivacità di atteggiamento che si scorge in alcune
figure femminili, e che, in verità, fa strano contrasto col volto stecchito e
burbero di S. Bartolome e di Sant’Antonio Abate: con quello un po’ rude di S.
Stefano Vescovo; di S. Giacomo, di S. Giovanni Evangelista; di S. Benedetto; e
finalmente con l’altro nobilmente severo del Battista[1].
Degli affreschi Quattrocenteschi,quelli che tuttora rimangono, sono: la
Vergine col Bambino del Transetto e i quattro dipinti della Cappellina a
sinistra del Coro. In generale possiamo notare che, come importanza artistica,
questi affreschi, sono certo, meno perfetti dei Trecenteschi.
Le teste Trecentesche infatti, rivelano una ricerca sapiente dei vari piani di
muscoli, una tendenza all’assegnare l’espressione propria a ciascun
personaggio, in modo da distinguerlo nettamente, dagli altri che gli stanno
accanto. Così pure il colore, con vari toni, plasma l’intero campo della
figura.
In quelli del Quattrocento invece, il colore è, generalmente, povero,
le forme meno ricercate, gli effetti più modesti.
Ampie masse lisce,
levigate, formano il campo del viso, sul quale sono tracciati i lineamenti in
modo quasi lineare. Le membra delle figure sono, in generale, proporzionate: ma
troviamo pure in alcune di esse delle sgradevolezze che non ci aspetteremmo.
Così per esempio, tanto la Vergine
del Transetto, quanto quella della Cappellina a sinistra del Coro, oltre a un
difetto positivo, nel volume delle ginocchia, eccessivamente sporgenti ne
presentano un altro nelle pieghe delle vesti, le quali non cadono ritte per
effetto del loro peso specifico, ma mostrano chiaramente lo studio posto dal dipintore,
nel produrre un certo effetto.
È opportuno, finalmente,
notare che, se tali affreschi non rivelano un’influenza determinata, non vi è
dubbio che, siano essi riflessi dell’arte Toscana e proprio di quella dei
grandi Maestri Fiorentini,
che spandevano dovunque, nella prima metà del Quattrocento,
il loro benefico influsso.
Cero, in queste pitture,
la luce del gran Faro,
arriva molto temperata: però, non si può negare che, l’autore di essi, il quale
(come anche per i Trecenteschi), molto probabilmente, sarà stato un Benedettino
di Santa Croce, mostri una discreta esperienza nella tecnica dell’arte
pittorica.
Questioni Iconografiche.
Pur non presentando i
nostri affreschi un’importanza capitale da lato iconografico, non si pu negare
che, ve ne siano alcuni di non trascurabile interesse. Troviamo infatti qui
ancora delle influenze bizantine che
sopravvivono nell’arte Trecentesca. Così per esempio, quantunque la Madonna col Bambino della Cappella, a destra del Coro, sia una
copia quasi fedele di quella dipinta da Simone Martini nel 1315, nella Sala del
Consiglio Pubblico di Siena[2];
pure non si può negare che ci ricordi esso la Odigiatria col
Bambino sulle ginocchia, la cui figura coincide con l’asse della figura della
Madre. Su questo tipo infatti sono condotte: la Madonna col Bambino del Museo dell’Opera di
Siena della fine del Duecento[3];
come pure le Madonne di Santa Cecilia e
Sana Maria in Trastevere a Roma; e finalmente la Madonna del
Principio in Santa Restituta, presso il Duomo di Napoli.
Non meno interessanti,
dal lato iconografico, sono le due figure di S. Giovanni
Evangelista, vecchio barbute, della Cappella di destra:
e giovane, dall’aspetto quasi infantile
della Cappella di Sinistra.
Non sarà fuor di
proposito notare, per ciò che riguarda il primo affresco che, da alcuni
scrittori, come per esempio il Venturi, è ritenuto, erroneamente per S. Girolamo, quello che è un S. Giovanni
Evangelista, vecchio e ugualmente barbuto, nella Cappella dei
Correali in Sant’Anna dei Lombardi a Napoli.
Di S. Giovanni, dalla
lunga e folta barba, non mancano altri esemplari, come per esempio è, quello
dipinto da Simone Martini nella Gran Sala del Palazzo
Pubblico di Siena: l’altro dipinto nella Pieve d’Arezzo da Pietro Lorenzetti, etc.
Anche di S. Giovanni giovane,
imberbe, abbondano gli esemplari. Lo stesso Simone Martini
ne dipingeva uno sull’Altare Maggiore della Chiesa del Convento di Santa
Caterina in Pisa.
Anzi osservano
Cavalcaselle e Crowe[4]
che il S. Giovanni con le forme regolari e
graziose, rappresenta la nuova via
nella quale è entrata con Simone, l’arte Sanese.
La più interessante però
dal lato iconografico, è, certo, la graziosa figura di Santa Marena. Notizie
precise su questa Santa Martire, non mi è stato possibile rintracciarne, non
essendo essa registrata nel Martirologio Romano e
Gallicano, e neppure nell’opera dei Bullandisti. Ma sembra oramai assodato, da una parte,
che sia una Santa Francese, e dall’altra, che sia la risultante delle due
parole “Ma=reine”.
Del resto, quello che a
me preme far notare è che, in tempi remotissimi, questa Santa, dovette avere un
culto speciale nei dintorni dell’attuale Piana: tanto è vero che, poco lungi da
Piana, esiste tuttora, una via campestre, denominata “Via Santa Marena”. La tradizione popolare poi riferisce che,
ivi appunto sorgesse, un tempo, una Chiesa dedicata a questa Santa. Della
chiesa però, non esistono tracce.
[1] Una Madonna che ha grande attinenza con questi affreschi Benedettini, è quella che si trova tuttora nella piccola Chiesa, anche Benedettina di S. Pietro ad Montes, che fa parte del villaggio di Casolla presso Caserta: Chiesa, fondata nel ciclo Longobardico con materiale Longobardo, e ridipinta nel Trecento.
In questa Chiesa, a destra della porta, entrando, sopravvive una Madonna in cui si conoscono i caratteri non lontani delle nostre pitture.
[2] V. Fotografia riportata dal Venturi “Storia dell’Arte”, vol. 5°, p. 590.
[3] V. Idem, vol. 5°, p. 37.
[4] V. Cavalcaselle e Crowe, Storia della Pittura in Italia dal sec. II al XVI, vol. 3° p. 51.